Nel 560 a.C., a Kapilavastu (in Nepal ai confini con l’India), nacque il principe Siddharta Gautama. La sua vita è la storia di un risveglio avvenuto sotto un albero di Bodhi da una vita dedita agli effimeri piaceri del mondo e i suoi insegnamenti saranno quelli alla base della disciplina spirituale buddista. Il principe Buddha (che in sanscrito vuol dire “Il Risvegliato”) prende coscienza che il mondo è oppresso dal dolore, dalla malattia, dalla vecchiaia e dalla morte e che l’unico modo per alleviare questa sofferenza è attraverso la meditazione, la ricerca dell’armonia e il controllo dei desideri. Nei secoli il buddismo si è evoluto in modo molto eterogeneo e diversificato, dividendosi in varie scuole e religioni e ad oggi conta tra circa 350 milioni di fedeli.
Il precetto fondamentale della cucina buddista è semplice: non mangiare nulla che abbia un’anima (in alcuni casi questo vale anche per gli ortaggi come cipolle e aglio, dato che lo sradicamento porterebbe alla morte della pianta). Secondo la filosofia buddhista infatti, tutti gli esseri viventi sono tutti collegati tra loro, e le loro anime migrano da un corpo all’altro, mangiare un altro essere vivente significherebbe dunque cibarsi dei propri fratelli “Chi mangia carne – dice Buddha – uccide il seme della compassione”.
Nelle credenze buddiste e in particolare nello shojin ryori, la cucina buddista zen giapponese, introdotta nel XIII sec., si ritiene che tutti gli ingredienti utilizzati portino armonia al corpo e allo spirito. Le ricette che la compongono sono semplici, ma non per questo povere nel sapore ma occorre particolare dedizione verso gli alimenti e rispetto nella preparazione del cibo, tanto che il cuoco, chiamato tenzo è un sacerdote.
I pasti sono preparati secondo la regola dei 5, ovvero ogni pasto dovrà contenere i 5 sapori che percepiamo (il salato, il dolce, l’aspro, l’amaro e l’Umami) e 5 colori (il giallo, il rosso, il verde, il nero e il bianco). Questa regola viene seguita utilizzando gli ingredienti stessi o utilizzando prodotti derivati da essi. Importante è che il cuoco si assicuri che nulla vada sprecato, riutilizzando successivamente gli scarti, sviluppando così un senso di gratitudine verso gli ingredienti e verso tutti i legami impliciti contenuti in un pasto.